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Macaone Comunicazione

Intervista al musicista padovano Giulio Andreetta

Conosciamo assieme il compositore, musicologo, pianista e docente Giulio Andreetta

Diplomato in pianoforte e laureato in Musicologia. Ha studiato con pianisti affermati a livello internazionale, è stato inoltre premiato in vari concorsi internazionali di pianoforte e composizione. Ha suonato per prestigiose istituzioni in Italia e all’estero. Alcune sue composizioni sono state recentemente pubblicate dall’editore Armelin di Padova. Ha inoltre pubblicato con la casa discografica Velut Luna un album di composizioni originali per pianoforte. Nel Luglio del 2018 è stata messa in scena una sua opera per coro e orchestra in memoria delle vittime della Prima Guerra Mondiale nell’ambito del Festival Carrarese di Padova, con l’orchestra Città di Ferrara. In ambito musicologico ha pubblicato per l’editore Casadeilibri due monografie sul minimalismo musicale.

 

Come nasce la sua passione per il pianoforte e come si è accostato a questo strumento?

La passione è nata in tenera età. Ricordo che ascoltavo dallo stereo di casa brani per orchestra, ed ero appassionatissimo di questa musica tanto da simulare con le penne una sorta di direzione d’orchestra.

Da lì è scaturito un forte interesse per la musica, che poi si è tramutato in uno studio, sempre coltivato senza l’aiuto di insegnanti che mi seguissero. A 6 anni mio padre comperò un pianoforte: da lì poi ho cominciato a prendere lezioni private, però non in modo continuativo. A 13 anni sono entrato in conservatorio e ho cominciato il mio percorso. La svolta artistica è arrivata nell’adolescenza: prima vedevo la musica come un gioco, un momento di svago e di evasione.

 

 

 

Che cosa le ha fatto capire che la musica sarebbe diventata il suo lavoro, la sua vita?

C’è un episodio che risale a quando avevo 19 anni, ed ero iscritto al primo anno di Medicina, avevo anche fatto qualche esame. Quell’anno, in concomitanza, avevo l’esame di diploma al Conservatorio. In quel momento ho deciso che non ce l’avrei fatta a conciliare le due cose, ho quindi deciso di accantonare medicina e di dedicarmi completamente al pianoforte. L’anno successivo mi sono iscritto a Musicologia.

 

Una scelta decisiva che ha cambiato la sua vita…

Sono molto felice di aver intrapreso la strada della musica.

 

Le sue opere e le composizioni come nascono? Da dove arriva la musa?

 

Cerco di creare una sorta di vuoto intellettuale che mi consente di esprimere la parte più irrazionale di me. Dal mio punto di vista questi infatti sono mestieri che non hanno molto a che fare con la razionalità. Cerco quindi di abbandonarmi all’irrazionale. Sono molto attratto da tutto ciò che ha a che fare con la grande tradizione mistica occidentale, in particolare ad autori come Meister Eckhart o alle poesie di San Giovanni della Croce. Sarebbe giusto e utile ribadire come la musica e la poesia siano connesse. Entrambe cercano di andare oltre il pensiero logico e razionale. C’è questo sfondamento del linguaggio, questo andare oltre il linguaggio che è presente nella poesia ma anche nella musica, perché la musica va oltre la parola. Faccio musica per questo, se mi si chiedesse di essere razionale nel momento espressivo non sarei in grado di suonare. Per me è impossibile suonare razionalmente. Tutto ciò che ho fatto in ambito artistico l’ho fatto per istinto. Faccio musica per conservare e arricchire il mio benessere psico-fisico.

 

 

Oltre ai poeti ci sono stati musicisti che hanno influenzato il suo percorso artistico?

Sono debitore ai compositori minimalisti, tra l’altro il minimalismo è coinciso con l’argomento della mia tesi di laurea. La tematica che ho trattato verte sul rapporto tra musica minimalista e colonne sonore per il cinema. Un momento importante per la mia formazione infatti l’ho vissuto quando avevo circa 20 anni, in quel periodo infatti ho iniziato ad ascoltare musica d’avanguardia. Ero soprattutto interessato alla musica minimalista e ai suoi compositori più celebri, Philip Glass, Steve Reich ed altri. Questi autori sono stati d’ispirazione per la mia musica ed alcuni dicono che le mie composizioni abbiano alcune assonanze con il minimalismo.

 

Come definirebbe quindi la sua musica se dovesse avvicinarla ad uno stile?

Non sono in grado di definirla, proprio perchè cerco di andare oltre qualsiasi genere e qualsiasi stile. Tento di mettere assieme vari stili differenti nelle mie composizioni, un po di dodecafonia seriale, un po’ di minimalismo. Cerco di fondere questi stilemi in qualcosa che cerca di essere l’espressione di una mia poetica personale. Questo almeno è il mio tentativo.

 

 

Qual’è la differenza più importante tra l’esecuzione, l’interpretazione e la composizione di un brano?

 

Prima di tutto bisogna distinguere tra esecuzione e l’interpretazione. L’esecuzione è un qualcosa che può essere svolto da una macchina. Un computer può eseguire la musica tramite un programma che legge le note e le varie indicazioni inserite in partitura, trasformando quei simboli in suoni. Ma eseguirà questo compito in modo meccanico, seguendo pedissequamente ogni indicazione della partitura. Eseguirà un forte ed un piano perfettamente, ma interpreterà tutte quelle variabili in modo assoluto, senza flessibilità.

L’interpretazione invece ha a che fare con l’elemento umano, con l’elemento mistico ed irrazionale. Infatti in questo caso interpreto, do valore soggettivo e personale a quei simboli annotati sul pentagramma. Quando si parla di didattica musicale l’obiettivo è quello, dal mio punto di vista, di formare un musicista a diventare interprete, non esecutore. Se volessi veramente ascoltare un esecutore allora mi rivolgerei ad una macchina, che non sbaglierà mai nulla, ma eseguirà in modo meccanico.

Quello che è importante è conquistare la soggettività nell’espressione artistica e musicale. La composizione invece riguarda una creatività e una libertà espressiva assolute. L’autore nell’atto della composizione è libero in senso assoluto. L’esecuzione invece è un atto di costrizione, che non mi appartiene e che non appartiene a nessun artista.

 

Lei è compositore, pianista, musicologo ma anche docente. Ha deciso nel suo percorso di aiutare delle altre persone, in questo caso i suoi studenti ad avvicinarsi a questo strumento. Che momento sta attraversando l’istruzione, in particolare nell’ambito musicale?

Un momento tragico. In linea generale la scuola italiana è entrata a mio avviso in una decadenza irreversibile. Ci sono a questo riguardo tutta una serie di testi che potrebbero animare un dibattito. Penso ad esempio ad un testo del 1914 di Giovanni Papini, il quale in modo provocatorio ma per stimolare probabilmente un dibattito intitolò questo breve articolo “Chiudiamo le scuole”.

La scuola viene vista da Papini come il veicolo di conformismo intellettuale, di un passaggio solo di nozioni. La scuola dovrebbe insegnare invece soprattutto un senso critico, un’autonomia di riflessione nello studente, il quale però in genere immagazzina una serie di nozioni che vengono poi verificate all’esame. Faccio un esempio, è importante sapere che Cristoforo Colombo ha scoperto l’America nel 1492, ma è ancora più importante capire cosa lo ha spinto a mettersi per mare.

Il sistema scolastico stesso prevede l’attribuzione di un voto numerico, ma questo crea un meccanismo di competizione esasperata. Lo studente vuole avere un bel voto e mette in atto tutta una serie di strategie per conseguire questo obiettivo. Ma questo è un discorso che non funziona, perché crea in genere una grande tensione emotiva nell’allievo.

 

Spesse volte infatti lo studente non riesce a vivere in modo sereno il momento dell’esame, proprio perché è in fase di maturazione. Tutto ciò favorisce e incoraggia un metodo di studio basato sulla memorizzazione di nozioni, ma che poi verranno dimenticate in pochi giorni. Lo studente dovrà reimparare poi nella vita reale tutte le competenze che la scuola non trasmette.

Spero che la scuola si possa risollevare, perché se si continua in questo modo non c’è futuro né per i giovani né per l’Italia. È necessario a mio avviso porre rimedio a questa situazione con una riforma scolastica che tenga conto della libertà dell’individuo, e della libertà dello studente di studiare e di formarsi un senso critico al di là della valutazione numerica, che per altro trovo umiliante, sia per il docente che deve mettere il voto che per lo studente.

Mi pare emblematico a questo riguardo ciò che ha vissuto in prima persona il celebre maestro Manzi, il quale ha subito un procedimento disciplinare perché si è rifiutato alla fine dell’anno di scrivere un giudizio sugli allievi. Ha messo in dubbio infatti che la pagella sia lo strumento più corretto per giudicare un allievo. Vi è inoltre il metodo pedagogico steineriano che sostiene che non vadano assegnati i voti.

Alla fine dell’anno nelle scuole di indirizzo steineriano si crea una pagella con poesie e disegni: si esprime indubbiamente un giudizio ma è un giudizio che si basa in qualcosa di non umiliante come assegnare un numero, è qualcosa che ha una sua coerenza e soggettività.

In ambito musicale il giudizio quindi va a discapito della creatività?

Certamente. L’arte e la musica sono dei mestieri dove vige la soggettività e la libertà assoluta dell’espressione individuale, quindi è ovvio che nel momento in cui l’allievo si sente sotto esame e sotto giudizio, non esprime più se stesso.

Lo studente tende a focalizzare tutto il lavoro espressivo per piacere a chi sta ascoltando. Questo vale sia per il voto finale come pagella ma vale anche nell’ambito del concorso musicale. Oggi noto che per gli studenti è di primaria importanza partecipare ai concorsi, competere.

Questo è fondamentalmente sbagliato, non per l’idea di usare il concorso per emergere, questo va benissimo: è l’idea implicita della competizione che non funziona, perché, ripeto, limita la libertà di espressione del musicista.

 

Intervista completa: https://www.youtube.com/playlist?list=PLYQTu0Gm5q8-BfwKusFe9G_0AYnVx0Y0T

Giada Zandonà